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Il credente sa che l’uomo ha avuto accesso alle cose invisibili fin dal momento della sua apparizione sulla terra. La creazione fu accompagnata da una rivelazione primaria, senza la quale il primo uomo non avrebbe saputo come orientarsi.
Per l’antropologo, il primo uomo è homo habilis, privo dei centri di Broca e di Wernicke, dotato di una faringe e una laringe che non gli permettevano di produrre i suoni che oggi costituiscono il nostro strumento fonetico.
D’altronde, la teologia non ci dice chi fosse, per essa, il primo uomo. Essa non è obbligata a rivolgersi per chiarimenti all’antropologo, che parla di homo quando parla di un fabbricante di utensili. La vicenda dell’uomo teologico potrebbe essere più breve di quella dell’uomo zoologico, e incominciare con l’uomo che comunica con strumenti vocali evoluti, o addirittura che l’uomo che pensa con strumenti logico-concettuali avanzati (nemmeno Teilhard de Chardin ha trattato il tema).
In ogni caso, da una certa data l’uomo ha lasciato segni dell’accesso, da lui praticato, in un mondo nascosto ai suoi sensi.
Qui non tratterò di quell’accesso, ingannevole, che si opera nel sogno, allorché ci appaiono i vivi ed i morti, allorché si compiono gli eventi (cui, quando svegli, non abbiamo mai assistito) che più temiamo e che più desideriamo.
Da 300.000 anni l’uomo ha una qualche cura dei suoi morti. È questo un segno?
Cosa più rilevante, da 35.000 anni l’uomo pratica arti figurative. Dal -35.000 al -10.000 l’uomo di Cro-Magnon ha disseminato in Europa, soprattutto in Francia e Spagna, pitture parietali di eccezionale importanza e bellezza (grotte di Lascaux, di Pech Merle, di Niaux, dei Trois Frères, del Mas d’Azil, di Altamira ecc.), nonché sculture significative. Pittura e graffiti importantissimi sono presenti anche nel Sahara e altrove.